Diastema teatro

L’attività di Diastema Teatro ha visto la propria origine nell’intento di sperimentare, di elaborare e produrre non solo semplici azioni ma veri e propri spettacoli drammatici che prevedano l’impiego del Disklavier in quanto presenza scenica fondamentale e complementare alla drammaturgia. Infatti tale connubio ha imposto la scrittura o la ri-scrittura di taluni testi. Gli spettacoli non procedono dallo strumento musicale e quindi appaiono quali mere circumnavigazioni intorno alla musica, ma sono vere e proprie drammaturgie che possiedono nel proprio interno un nuovo personaggio, in cui la musica ha piena “parola” e dialoga direttamente con gli altri attori. Pertanto testo e musica e immagini e azioni sono “scritte” di pari passo, modificate, riviste, corrette, agite e recitate nella direzione e con l’intenzione di costituire e costruire un unico nuovo indivisibile testo, ossia lo spettacolo.
Inevitabile che tali intenti si siano concretizzati anche dall’incontro di Paolo Troncon, Giuggi Di Paolo e Raffaello Padovan che hanno manifestato, seppur nella diversità delle esperienze tecniche ed artistiche – e pertanto delle proprie competenze – una comune sensibilità e dimostrato di condividere finalità assai contigue.
Tuttavia la compagnia così costituitasi non impiega sempre ed esclusivamente il Disklavier in scena. Infatti talune performance sono state studiate e realizzate senza lo stesso strumento ma comunque connotate dalla forte presenza della musica, sempre eseguita direttamente in scena.
KLAVIERTHEATER
rassegna sperimentale di prosa e musica
KlavierTheater ospita nuove produzioni teatrali che prevedono l’uso del Disklavier (o del pianoforte) con musiche originali appositamente scritte per questo strumento. Il Disklavier è il pianoforte acustico della Yamaha (moderna versione del “pianoforte a rullo”) che a tutte le normali potenzialità del pianoforte aggiunge la possibilità di essere governato da un computer, tramite il protocollo midi.
KlavierTheater vuole promuovere una particolare ricerca nel campo teatrale: l’indagine in un ambito estetico dove la musica (pianistica) non svolge solo una funzione di supporto al testo e all’azione teatrale, ma diviene essa stessa parte integrante dell’opera teatrale per mezzo della “fisicità” stessa del pianoforte e delle nuove possibilità espressive offerte dall’utilizzo in scena del Disklavier.
Le rappresentazioni del KlavierTheater si sono svolte nei teatri della città di Treviso nello stesso periodo in cui hanno avuto luogo il Concorso “Città di Treviso” e le altre manifestazioni di “Treviso Città Europea del Pianoforte” (2000-2004).
KlavierTheater rappresenta un’esperienza originale e unica nel settore del teatro di sperimentazione.
L’ideazione e la direzione artistica sono di Paolo Troncon.
SOMMARIO E SINTESI DEGLI SPETTACOLI DI DIASTEMA TEATRO
2000
Assenze
Sede Associazione Culturale K 3, Fontane di Villorba, Treviso (prima rappresentazione assoluta), 13 ottobre 2000
2001
Assenze
Teatro Sociale (ex Ariston), Treviso, 20 marzo 2001
2002
Assenze
Padova, Teatro alle Maddalene, 23 febbraio 2002
La chiave, chiavi di letture… parole in chiave… chiavi di parole e di suoni…
Itinerario di clangori e sonorità liriche
Treviso, Musei Civici Casa Robegan – Casa da Noal, 14 aprile 2002
La chiave dell’ascensore
Treviso, Teatro Sociale seconda edizione Klaviertheater (2001)
Treviso, Sede Antonino Paraggi
Vicenza
Preganziol, Casa Michieletto
Dai Diari di Adamo ed Eva
Libera riduzione e adattamento dal racconto di Mark Twain
Treviso Museo Civico “Luigi Bailo”, Chiostro Arturo Martini, 1 agosto 2002
Per una Sinfonia in Si Minore
di Raffaello Padovan, liberamente ispirato da uno scritto di Joseph Roth, Treviso, Alcuni – Teatro Sant’Anna, 29 novembre 2002
2003
Una curiosa coincidenza
Una storia romantica tra gli affreschi di Santa Caterina
di Raffaello Padovan, liberamente tratto dal racconto di E.T.A. Hoffmann La Loggia di Re Artù
Treviso, Museo Civico, Chiesa di Santa Caterina, 10 luglio 2003
2005
Teatro dell’assurdo. Dal Dada a Ionesco a Quenod a…
Libera riduzione di brani di autori vari e regia di Raffaello Padovan
San Biagio di Callalta, Treviso, 7 dicembre 2005
SPETTACOLI REALIZZATI DA DIASTEMA TEATRO
ASSENZE
da Dis Joe di Samuel Beckett
Parole in tre lingue da Samuel Beckett. Liberamente tratto e adattato da Di’ – Dis – He Joe (testo per la TV), a cura di Raffaello Padovan e Giuggi di Paolo
Traduzioni di Giuggi di Paolo
Musiche di Paolo Troncon eseguite dal vivo con Disklavier
Assistenza tecnica, luci e suoni di Natalino Bragato, Elisa Marchesini, Lorenzo Pasqualato
Soggetto e regie di Raffaello Padovan
Prima edizione di Klaviertheater (2000)
Due tempi di Azioni, Voce, Parole, Immagini e Suoni, Musica per doppia sala.
Spettacoli in libero adattamento allo spazio ed al rapporto col pubblico disponibile.
Rappresentazioni
Fontane di Villorba, Treviso, Sede Associazione Culturale K 3, (prima rappresentazione assoluta), 13 ottobre 2000
Treviso, Teatro Sociale (ex Ariston), 20 marzo 2001
Padova, Teatro alle Maddalene, 23 febbraio 2002
Nota di regia per Assenze. Parole da Samuel Beckett
Una Voce, una donna.
Un’Immagine, un uomo.
Voce, immagine che sanno di morte. Saporano di morte.
Immagini, entrambe, della morte. Di vita.
Eros e Tanathos che si rincorrono in una nuova banda di frequenza. In sequenza? Inseguente.
La soglia dell’amore della vita per la vita ha lo stesso battente della morte. Quale sarà l’ingresso, quale l’uscita?
Chi prima, chi dopo?
Una Voce, disperatamente rigida, si scontra con il silenzio, con la morte dell’immagine. Un gioco di partita doppia nel doppio di Beckett, Samuel Beckett. Un doppio parallelo. Una doppia ostensione: Di’ Joe, o meglio He Joe / Dis Joe, testo per la TV, non per la scena teatrale. Per la scena a distanza, nel tempo e nello spazio. Gioco di sincronie, madiscrasie, pure. Tuttavia nel gioco delle parti intende materializzare l’etere significante, la parola, la voce. Ciò che è solo immagine è persona. Anche nell’accezione (doppia) latina: larva di persona.
Tuttavia non più maschera elettronica, la registrazione, ma cosa di carne: pulsante. Viva. Una Voce, naturalmente senza nome ma naturalmente femminile, di donna; che si scontra con “Joe”: lui sì che ha un nome, telescopicamente, in senso etimologico, nello spazio e nel tempo. “Videopresente”, sicché è sineddoche dei tanti Joe che stanno, che sono noi.
Solo un poco più gonfio. Più tronfio.
I “Joe”, tutti, che stanno in sala. Che guardano il Joe Immagine. Che si guardano. Come le Voci-Lei. Che stanno silenziose. Urlanti.
Ecco in atto un ambiguo gioco. Giuoco che usa entrambe le componenti vocali-liguistiche degli originali beckettiani inglese e francese, pungoli semantici ed espressivi evocati a rinforzare drammaticamente la traduzione italiana nell’ambivalenza scenica.
E in questa doppia valenza, per simmetria, si materializza lontano, ma non molto, nello spazio, anche l’immagine.
Non morta, l’immagine.
Nota di regia alla prima rappresentazione
Il pubblico sarà distribuito in due sale diverse (A e B). Nel cambio di tempo gli spettatori si scambieranno di luogo, trasferendosi da una sala all’altra. Con ciò ogni spettatore potrà saggiare la propria struttura emotiva e percettiva, rapportandola al sistema di mediazione, al suo conoscere un fatto o meno, ai tempi, e così via.
Una sedia in ciascuna sala sarà lasciata libera, fuori scena o tra quelle del pubblico o in prossimità.
Sala A: scena detta di LEI o dell’Immagine
Sono presenti alcuni monitor (televisori a circuito chiuso) rivolti verso gli spettatori, posizionati variamente dando l’impressione di un ordine controllato, in una sorta di “natura morta”. Da tali monitor si potranno vedere le immagini trasmesse dalla sala B.
Un leggio in prima. Luci calde.
Sala B: scena detta di LUI (Joe), o della Parola
È allestito un set televisivo caratterizzato dalla presenza di una telecamera su carrello che riprende la scena, possibilmente comandata a distanza, che denunci l’assenzadell’operatore. Questa sarà l’occhio dello spettatore (per sineddoche), che osserva indiscreto da un foro praticato sulla “quarta parete” del teatro. Qualora possibile la scena ricostruirà una camera secondo la descrizione di Beckett, ossia con una finestra con tenda scorrevole, una porta pure con tenda, un armadio a muro; tutto praticabile. In più un letto. In alternativa va adattato lo spazio offerto dal luogo ma con una precisa delimitazione scenica degli elementi e dell’area di azione (forse con una pedana praticabile, un tappeto di scena, ecc., se non proprio con una parapettata). La scena può essere ricostruita anche solo con le tende e l’armadio; oppure solo con il letto; o ancora solo con una sedia. La cosa fondamentale sarà il senso di “limite” e di “chiusura” dello spazio, inciso dalle azioni di Lui che “chiude” – e isola – se stesso entro il perimetro-stanza. Importanti saranno, come aiuto (per trasferimento metonimico) le chiavi che Joe utilizza nella gestica di auto esclusione. Altoparlanti diffonderanno la voce di Lei proveniente dalla sala A. Luci fredde.
Un luogo intermedio, o in una delle due sale, o in mezzo agli spettatori, accoglierà lo strumento sonoro, un disklavier, che comunque dovrà essere udito in entrambe sale, e che sarà visto nella sua assenza dell’esecutore. La musica prodotta sarà un elemento di intermediazione tra parole gesti e immagini, non un commento o una semplice sottolineatura. La sua funzione sarà quella di recuperare le vibrazioni date dalle tensioni provocate nella recitazione, aumentando, se necessario, i tempi degli intervalli. I vuotidovranno essere musicali, sostituzioni della parola e dell’immagine. Le assenze in questo caso saranno particolarmente esaltate tramutandosi in presenze.
Nelle rappresentazioni effettuate in teatri con sale tradizionali sono state proposte la inversione delle scene comunque compresenti (in prima e sul fondo) separate orizzontalmente da un velo (tulle).
LA CHIAVE DELL’ASCENSORE
di Agota Kristoff (Diastema, Treviso)
Libera riduzione e adattamento di Raffaello Padovan
Traduzione di Giuggi Di Paolo
Scene e regia di Raffaello Padovan
Musiche di Paolo Troncon
Canto e liuto Elisa Marchesini – Giacomo Li Volsi
Assistenza tecnica e luci Natalino Bragato
Rappresentazioni
Treviso, Teatro Sociale seconda edizione Klaviertheater (2001)
Treviso, Sede Antonino Paraggi
Vicenza
Preganziol, Casa Michieletto
Nota di regia
Per la comprensione di ogni testo, drammatico e no, ci si spinge a impiegare la metafora o la similitudine della chiave. Chiave di lettura, chiave per entrare, accedere. E ciò accade ancor più quando si smonta un testo drammatico, ci si affonda oltre le parole scritte.
Nella piéce di Agota Kristtof la chiave viene esibita, ostentata fin nel titolo. È uno strumento minuto, la chiave, ma reale. Concreto.
Come concreta è la condizione della protagonista: una Donna. Sola. Condannata ad una solitudine perpetua. Concreta. Drammaticamente concreta. Separata dal mondo, nell’esclusione dei sensi. Nulla può se non regredire nella condizione larvale. Maschera di donna. Personam. Ma ancora esistere. Persona.
Ella ha osato conoscere il mondo, o il mondo – diabolico tentatore! – ha cercato di conoscere lei. Ed è stata condannata “per troppo amore” e per sua propria candida fede.
Nell’alto di una maschia torre Lui, uomo-marito-partito, edificatore del mondo – già, è architetto! – la conserva, priva di ogni senso, in una vita priva di senso. Lei non possiede la chiave, quella ferrigna per accedere all’ascensore che potrebbe condurre nella foresta, nella pianura. La chiave dunque per conoscere la vita, è ciò che le manca. È ciò di cui ha bisogno. Possederla. Ecco il punto. Non più. Non più il corpo, chirurgicamente mutilato. Ma l’anima sì. La musica, che lei non può udire più, ma che ha comunque dentro di sé, rimbrotta, urla in silenzi che accompagnano la solitudine pseudo fiabesca. I suoni incalzanti chiedono, alludono, sostengono. E tutto ribolle. Fuori, dentro.
L’ironia pervade tutto il monologare della Donna. Al cantilenato del racconto fiabesco iniziale succede un raccontarsi schietto e prosaico. E il sarcasmo è sempre pronto a sputare il suo acido corrosivo.
C’è l’ombra di una patetica complicità nel tragico evolversi degli eventi. Ma l’eroe, la vittima, trova una chiave. Una chiave, già. La Chiave. E il dentro fuoriesce. Magma sanguinolento, violento. Si contrappone al tergiversare di una vita purulenta, violenta. Chi ribolle si ribella. Dal vivo. Rivive. È bastato paventare la sottrazione della voce: mettere nell’impossibilità di comunicare, di usare la parola. Ecco ancora che la metafora si raddoppia.
La prima è quella di tipo contenutistico che denuncia esplicitamente ogni crudeltà segregativa su qualsiasi essere vivente, reggimentale o familiar piccolo borghese, o ancora (e vale per l’oggi) per distolta intransigenza confessionale; e dunque una, riflesso di motivazione storica, valga per tutte: la donna come lo è Agota Kristof: donna vissuta in Ungheria durante il totalitarismo.
La seconda è quella di tipo espressivo: la Donna-scrittrice-attrice non può rinunciare al primo mezzo comunicativo umano: la parola. Mezzo che riassume e concerta tutti gli altri. E ci scappa l’azione. Il gesto drammatico. Il colpo di teatro. Il dramma si trasforma in dramma. Ebbene un atto (teatrale), un‘agire che riscatta, salva la parola. E con essa tutti possono sapere. Devono sapere. Possedere la Chiave: la chiave per riprendersi la vita. Quel che ne resta.
LA CHIAVE, OVVERO CHIAVI DI LETTURE… PAROLE IN CHIAVE… CHIAVI DI PAROLE E DI SUONI… UN ITINERARIO DI CLANGORI E SONORITÀ LIRICHE
Manifestazione in chiusura della mostra La Chiave. La sicurezza della casa e del patrimonio. Chiavi, serrature, lucchetti, casseforti, porte ferrate dalle collezioni civiche dal secolo XII al secolo XIX
Treviso, Casa da Noal – Casa Robegan, 15 dicembre 2001-27 marzo 2002)
Con Giuggi Di Paolo e Raffaello Padovan
Canto e liuto: Elisa Marchesini
il Godeva: Luca Bet
i Fabbri Sonori: Ermanno e Alessandro Ervas.
Rappresentazione
Treviso, Civico Museo Casa Robegan – Casa da Noal, 14 aprile 2002
Breve nota di regia
Lettura di brani poetici di vari autori ed epoca per due Voci, Maschile e Femminile, accompagnata dalla musica di un liuto e dal canto eseguiti dal vivo. Tutto introdotto e accompagnato da un Godega silente. Musico-Cantore e Godega in costume. Con un tributo sonoro dei Fabbri restauratori (degli oggetti esposti).
Un musico al liuto suona ai piedi della scala. Il Godega accende la candela della bugia che ha con sé quale invito al pubblico per l’inizio dell’itinerario. Il musico dunque fugge per nascondersi sulla sommità della scala. La Voce Femminile si appresta a leggere un foglio postogli dal Godega che ha estratto da una borsa che porta lungo il fianco insieme un mazzo di chiavi. Il pubblico si disporrà liberamente secondo lo spazio a disposizione. Seguiranno diverse interazioni tra il personaggio Voce Maschile e il personaggio Voce Femminile, una volta ritrovati i vari frammenti di testo predisposti tra gli oggetti della mostra. I due attori indosseranno a vista e sul momento pure pezzi di abbigliamento trovati all’occasione per meglio suggerire e impersonare le figure evocate.
DAI DIARI DI ADAMO ED EVA
Libera riduzione e adattamento dal racconto di Mark Twain, Treviso
Con:
Giuggi di Paolo – Eva, voce
Raffaello Padovan – Adamo, voce
Elisa Carter – Eva, mimo, Marco Florian-Adamo, mimo (allievi attori del corso dell’Associazione Culturale “Agorà”)
Elisa Marchesini – Angelo Bianco
Luca Bet-Angelo – Angelo Nero
Musiche originali di Paolo Troncon
Liuto Elisa Marchesini
Proiezioni di opere del Museo Civico di Treviso a cura di Raffaello Padovan e Valter Fenuccio
Assistenza tecnica di Natalino Bragato
Regia di Raffaello Padovan
Rappresentazione
Treviso, Museo Civico “Luigi Bailo”, chiostro Arturo Martini, 1 agosto 2002
Un incontro tra pagina scritta e immagine visiva. Un connubio tra visioni differenti nella forma e nel tempo e nello spazio di un soggetto. Il soggetto e tema primigenio per eccellenza perché riguarda i nostri progenitori: Adamo e Eva. La parola scritta è di un maestro della penna del XIX secolo quale fu l’americano Mark Twain. L’immagine è un’opera altamente concreta essendo una scultura di Arturo Martini italicamente modellata un secolo dopo. Il luogo uno spazio “giusto” per meditare sulle nostre origini sublimi o semplicemente piccolo borghesi soppesando le parole e le azioni (ipotetiche) dei nostri primi antenati: un chiostro. Il chiostro di un museo. Allo stesso tempo luogo chiuso edaperto. Un Hortus conclusus ma spalancato verso il cielo. La presenza della scultura di Martini nel nostro Museo ha suggerito questa messa in scena. Usare le parole del racconto-dialogo di Mark Twain, pregno di ironia e comicità (nello spirito di memori dialoghi Morelli-Stoppa; chi non si ricorda quel “Caro Eleuterio…”?) per agire intorno al monumentale oggetto che Treviso conserva e con ciò farlo parlare. E muovere. Inoltre A corredo le evocazioni sono sottolineate dalle proiezioni sulle pareti che circoscrivono il chiostro di dettagli di altre opere del Museo Civico, la maggior parte sconosciute perché scovate nei depositi, fotografate appunto per l’occasione. Lo spettacolo si conforma con il dialogo a due voci adulte di Adamo ed Eva, complementari alle azioni dei due corrispettivi giovani mimi che agiscono nell’intero spazio (coadiuvati da altri due che fungono da Angeli, il Nero e il Bianco), il tutto comprensivo di elementi scenici, costumi ecc. Il pubblico si dispone sui tre lati dell’area coperta del porticato. Opportune musiche, per lo più suonate dal vivo, concorrono alla resa atmosferica e drammatica della piéce.
PER UNA SINFONIA IN SI MINORE
di Raffaello Padovan, liberamente ispirato da un brevissimo scritto di Joseph Roth
Atto unico in due quadri per due attori e pianoforte
Con Giuggi Di Paolo e Giuseppe Marra
Musiche originali per Disklavier di Paolo Troncon
Regia Raffaello Padovan
Video proiezioni Raffaello Padovan e Uberto Rotondo
Luci Sabrina Venuti
Assistenza tecnica Natalino Bragato
Rappresentazione
Prima rappresentazione assoluta: Treviso, Alcuni-Teatro Sant’Anna, 29 novembre 2002
terza edizione di Klaviertheater (2002)
Nota di regia
A volte un incontro. Per necessità, progetto, caso. Un musicista con il suo klavier che vuole – lo strumento – le sue gags, recuperare il gioco, essere attore dis-pettoso: essere dis-klavier; e ancora un palcoscenico con attori, pochi. Molti testi, nessun testo.
Un foglio d’articolo che arriva, il caso, da lontano, che Jo. Roth scrisse un tempo, quasi un secolo fa, ormai. Ormai l’altro secolo, un altro secolo; che, comunque, è ancora il nostro. Roth scrisse del cuore e della psiche dell’uomo. Di un uomo. Di tanti uomini. Tutti. Della follia, quella di un uomo solo. Rimasto solo. Solo con se stesso e la musica. Sinfonia in si minore. La musica è il cuore, la passione; la moltiplicazione delle emozioni pre-annotate e spremute sulla tastiera di toni e semitoni rincorrendo le immagini mute che scorrono sulla tela di un cinematografo. E a questo che la psiché, mente e anima, si ribella. La passione tecnicistica, virtuosistica si muta in follia. La macchina umana perde ogni contatto con il reale, diventa sottile come il film che si proietta; celluloide. Non regge al confronto della macchina strumento. Si rompe. Rompe i confini, deborda dal senso comune: schizza via. Roth scrisse poche righe di una notizia lontana, e si è allontanato dalla notizia. Una notizia lontana nel tempo, sì: 1922, ma chi sa perché, come scritta ora: dunque vicina, ora.
Tutta l’attualità possibile che universalmente deve sgorgare, pretendere di riflettersi, inducendo a riflettere sulla metafora della scena. Una necessità. Questo serve. Serve quella realtà che è assai cruda, esplicitata nella crudeltà dei fatti, anche minimi anche comici (per ciò ancora più impietosi), appartenenti a ciascuno che assiso – per privilegio? – sulle poltroncine della sala buia assiste all’evento. Quel “ciascuno” che, quotidianamente, forse rasenta ignaro la follia al contatto di semplici tasti, non necessariamente di un pianoforte; non è dato a dirsi chi effettivamente li preme nel frastuono silenzioso, biecamente programmato, dei flash iper-mega-ciga-bit moltiplicati, ripetuti e minimamente variati. Avariate immagini, invisibili, che inducono a non più vedere, a non più guardare, a non più moltiplicare le posizioni di sguardo ma a fissare lo schermo già prefissato; a non controllare, ma controllati, a non controllarsi più… a schizzare via! Dentro.
A volte, sì, un incontro. Un incontro a teatro; con la musica, con gli attori e con un testo che inscrive una storia, improbabile ma vera, che promette divertimento e struggimento del cuore e della psiché. Una storia che incontra oltre il tempo, folle di per sé, un ieri e un oggi. Forse, anche un domani. E li fonde, con le note, con le immagini, con le parole e le azioni – Wort ton drama? – dentro e fuori la scena… come quell’altro secolo ci ha insegnato. Confronto di cinematografo e cinemavideo, di toni semitoni e mouse… martelletti e micro chips… un pezzo di carta e infiniti reticolari messaggi… Un inferno comico. Roth, che si intrufola sinuoso nella rete, ci lascia intendere che innumerevoli sono i pianisti che possono raggiungere l’alienazione, ma non sarà causa di ciò la musica, né lo strumento che la produce; non sarà allora dall’uso indiscriminato che se ne fa? Tutti siamo pianisti.
Abbiamo un testo, il progetto. Un’idea, nata, come a volte accade, da un incontro necessario. A volte, come sempre.
UNA CURIOSA COINCIDENZA
di Raffaello Padovan
Liberamente tratto dal racconto di E.T.A. Hoffmann La Loggia di Re Artù
Con Giuggi Di Paolo, Giuseppe Marra, Raffaello Padovan, Francesca Mària, Elisa Marchesini (pure al liuto) e Paolo Troncon all’organo
Musiche a cura di Paolo Troncon ed Elisa Marchesini
Una storia romantica tra gli affreschi di Santa Caterina
Unica rappresentazione
Treviso, Museo Civico, ex Chiesa di Santa Caterina, 10 luglio 2003
Nota di regia
Lo spettacolo è strutturato in modo tale da potersi realizzare nella ex Chiesa di Santa Caterina, ora Museo Civico di Treviso, prendendo a pretesto gli affreschi, o meglio le tracce di essi rimaste, esistenti lungo le sue pareti interne.
Il pubblico, seduto e in piedi, è rivolto verso le absidi. Si prevedono proiezioni di altre opere pittoriche del museo.
Le musiche sono per organo e liuto eseguite dal vivo.
La scena si articola nell’intero spazio adiacente e prospiciente le absidiole, entro ad esse, sull’impalcato dell’organo, intorno e in mezzo al pubblico. Gli affreschi, gli anfratti dell’architettura costituiscono la scenografia. Gli attori recitano in costume attuale, settecentesco e medievale.
È un atto unico sul filo della sovrapposizione di coincidenze temporali e narrative. Dal tempo presente, compartecipe il pubblico, dal tempo della storia e da quello dellaevocazione sul limite della pura e onirica immaginazione. Il filo che sostiene la piéce e si antepone (perché ne è stato il motore suggestivo della ricerca di questa riduzione) è quello proposto dalla Pittura. La Pittura presente, oggetto di contemplazione museografica; la Pittura della storia, e i soggetti che affiorano tra le macule grigie degli intonaci; la Pittura ideale e degli ideali; quella che non si vede semplicisticamente ma che si può sentire semplicemente. Con la contaminazione di un Balzacchiano “Capolavoro sconosciuto”.
Ma pure con qualche disillusione e un succoso risvolto sentimentale.
Tutto da vedere. Da ascoltare, seguire e immaginare.
Ecco uno spettacolo che si configura come un testo originale che ha per pretesto la storia, la trama di Hoffmann. Uno spettacolo sulle tracce di quel racconto. Ma ora uno spettacolo di suoni, voci e azioni che procede dalle tracce e dai lacerti pittorici, dallo spazio e dalla storia di S. Caterina.
I materiali visivi, sonori e i testi recitati sono desunti dallo studio storico sulla chiesa, le sue preesistenze, le sue pertinenze e ciò che la costituisce, in particolar modo quegli affreschi che la contraddistinguono.
Il tutto espressamente ricucito o meglio intessuto per l’occasione e proteso espressamente a valorizzare quanto il sito puntualmente offre e suggerisce, nonché la città stessa di Treviso.
Le immagini pittoriche frantumate, in parte ricomposte e per lo più frammentarie e irregolarmente disposte nel continuum parietale, divengono “attori protagonisti” di eventi lirici, aldilà del proprio e indubbio intrinseco originario valore pittorico e documentario. Ciò nell’intento di suscitare, nello spettatore, nuove e diverse emozioni, rievocando momenti poetici e storici più o meno noti e inediti. Siano essi direttamente attinenti alla loro storia e alla propria iconicità, siano liberamente associate ad altre immagini che esse stesse possono suscitare.
Una speciale estemporanea “riaffrescatura”, virtualmente espressa e realizzata con i mezzi della teatralizzazione, che si imprime nella memoria attraverso i sensi in un brevissimo lasso di tempo.
Un’indagine negli strati, negli intervalli, nelle fessurazioni, nelle lacune di tempo e di spazio che tuttavia sono una presenza negativa per le opere d’arte e che per l’appunto consideriamo normalmente, alla luce del giorno, quali “accidenti” della storia e che nessun restauratore può permettersi di integrare; ma che ogni spettatore è indotto, forse obbligato, a ricomporre nella propria mente l’integrità dell’opera, come meglio crede e sa. Ecco che allora, alla luce dei riflettori del teatro, cercando, e scoprendo, in questi “accidenti” intrinseche suggestioni essi si colorano di positività.
Presenze di assenze, dunque che intendiamo richiamare attraverso lo scambio tra le sensibilità degli attori e degli spettatori mediante proiezioni, letture, azioni mimiche, esecuzioni sonore in perfetto tono e rispetto del prezioso luogo. E così si ricomporranno altre storie; si ipotizzerà dell’altro: un sogno?
TEATRO DELL’ASSURDO. DAL DADA A IONESCO A QUENOD A…
Libera riduzione di brani di autori vari
Con Giuggi Di Paolo, Alberto Regis, Raffaello Padovan
Regia Raffaello Padovan
Improvvisazioni al saxofono di Tommaso Troncon
Rappresentazione
San Biagio di Callalta (Treviso), 7 dicembre 2005