di Roberta Bortolozzo

 

(articolo pubblicato nel n. 9 della rivista musicologica Diastema, dicembre 1994, rubrica “Teoria musicale”)

 

Disposero così bene gli antichi le proporzioni delle loro harmonie, che se ne leggono miracoli, e l’historie non solo profane, ma le sacre, ne son piene… potrei cominciar à portar esempi della forza che hà la musica sopra le bestie più feroci e dir con Plutarco, […] e con S. Agostino […], che moltissime di loro si mansuefanno con la musica, ed hanno gran piace re di essa […] Gli antic hi Candiotti si incitavano alla battaglia col suono delle cetre, e di altri istromenti […] Terpandro sedò col canto una sollevazione in Sparta […] Marziano Cappella cartaginese ci assicura, ch’egli guariva i frenetici con la sinfonia […] Teofrasto assicura che le musiche proportioni sono attissime a guarire i morsi d’una certa sorte di vipere […] per il morso della tarantola, così frequente nella Puglia non hà alcun’altro rimedio che la musica […].

 

La citazione è tratta da un opuscolo manoscritto intitolato Quanta certezza habbia da’ suoi principii la musica et in qual pregio fosse perciò presso gli antichi, contenuto nel volume XXXIII delle opere di Giordano Riccati, conservato presso la Biblioteca Civica di Udine. Ne è autore l’organista, compositore e diplomatico Agostino Steffani (Castelfranco Veneto 1654-Francoforte s.M. 1728).

 

Agostino Steffani - Quanta certezza abbia da' suoi principii la musica - a cura di Michele Geremia

Agostino Steffani – Quanta certezza abbia da’ suoi principii la musica – a cura di Michele Geremia

 

È significativo che Giordano Riccati (1676-1770), fisico acustico trevigiano e scienziato “moderno”, abbia tenuto con tanta cura fra i suoi incartamenti questo piccolo saggio di erudizione musicale nel quale, oltre alla consueta attestazione delle capacità terapeutiche dei fenomeni sonori, compare una difesa della musica nei suoi fondamenti teorici. L’interesse per gli effetti della musica sull’uomo e per i principi che li governano deve aver indotto Giordano a meditare sulle affermazioni di Steffani, intimamente legate all’antico modo di parlare dell’universo sonoro per analogia (“il suono infatti rappresenta per la musica quello che il punto è nella geometria, l’unità nell’aritmetica”) e sulla opportunità di dare una veste scientifica all’intero corpus di speculazioni intorno alle leggi che regolano il sistema dell’universo sonoro che, iniziate con Pitagora, Euclide, Platone, Aristotele, Plutarco, Aristosseno, e proseguite con Cicerone, Marziano Capella, S. Agostino, Boezio, Aristide Quintiliano, Beda il Venerabile, giungono fino a Zarlino.

Nel dibattito fra musica e scienza il Conte Riccati si pone con spirito innovativo intervenendo con numerosi scritti a carattere musicale, tra i quali particolare attenzione merita la “grand’Opera” Le leggi del contrappunto dedotte dai fenomeni e confermate dal raziocinio che rappresenta la sintesi delle scoperte e ricerche dell’autore, nonché una delle testimonianze letterarie più interessanti del tradizionale dibattito tra musica pratica e teorica, vocale e strumentale, che portò nel ’700 alla formulazione di nuovi principi estetici.

Il trattato manifesta a pieno titolo il credo scientifico dell’autore, vale a dire il proposito di applicare alla musica il metodo adoperato dal Galilei in fisica: attenersi agli esperimenti, dal cui esame e confronto si traggono le conseguenze che guidano alle leggi generali. Pubblicata dall’editore Giulio Trento nel 1762 e dedicata al nobile Fioravante degli Azzoni Avogari, l’opera viene affidata alle stampe in forma di compendio dopo un trentennio di studi.

 

 

Agostino Steffani

 

La materia è suddivisa in quattro libri: le regole del contrappunto, ovvero del combinare più suoni, vengono dedotte dalla pratica moderna e giustificate attraverso l’analisi del comportamento fisico-matematico del materiale sonoro, con istanze proprie dell’estetica musicale dell’epoca. Consonanze, accordi, modi, modulazioni, cadenze, dissonanze occupano i primi tre libri, fungendo da premessa alle tesi esposte nel quarto, dedicato completamente alla teorica dei “musici temperamenti”. In quest’ultimo libro l’autore espone i risultati delle osservazioni e degli esperimenti relativamente alla sua idea di “temperamento”. Il tema dell’“ottimo temperamento” o della “perfetta accordatura” degli strumenti musicali è per il ’700 argomento di vivaci dibattiti in Europa, soprattutto per l’ampliarsi dell’orizzonte compositivo della musica a venire.

Per Giordano Riccati si tratta di giustificare una prassi compositivo-esecutiva che giornalmente mette in discussione e supera le mete raggiunte dai teorici, rivelandosi sempre più insofferente nei riguardi delle speculazioni sulla musica, ove queste vadano ad arenarsi nelle secche della pura astrazione.

Nel definire quale debba essere il “carattere”, il temperamento, da impartire agli oggetti sonori (gli strumenti musicali), l’autore percorre due vie di ricerca: da un lato sperimenta come consonanza e dissonanza influiscano sui comportamenti umani, dall’altro riconduce questi comportamenti alle loro cause più generali, teorizzando analogia fra le leggi dell’armonia e le leggi della natura.

Fin qui niente di nuovo rispetto agli antichi teorici; rispetto invece ai contemporanei, Giordano ha la capacità di confrontarsi con i fisici del suono più accreditati d’Europa: ne è testimonianza, fra l’altro, il suo coinvolgimento nella polemica sulla priorità della scoperta del “basso fondamentale”, che lo vide competere con il più illustre armonista francese del ’700, Jean-Philippe Rameau. Ciò che distingue inoltre la sua speculazione è la possibilità di accedere alle più recenti scoperte scientifiche in campo matematico, e di renderle operative.

Se Zarlino infatti ha a disposizione l’aritmetica pitagorica per elaborare le sue teorie armoniche, Giordano possiede uno strumento più raffinato per esprimere idee non molto dissimili: il calcolo infinitesimale e la teoria delle probabilità. È lo stesso Jacopo Riccati, padre di Giordano e scopritore di una importante equazione matematica, a trasmettere al figlio l’amore per la ricerca in diversi ambiti della conoscenza; ed è lui a concepire un universo “ben temperato” deducendo le proprie tesi da numerose prove fisico-matematiche.

Così, se si considera la verità matematica “che la quantità non può ascendere all’assolutamente massimo, né discendere all’assolutamente minimo” secondo la quale la materia non è soggetta a limitazioni assolute, ma sempre i suoi limiti oscillano tra un massimo e un minimo, non sarà ipotizzabile, e tanto meno riscontrabile in natura, una misura “fissa”, “perfetta”, di costituzione della materia. La materia sonora parimenti non è addomesticabile a tal punto da perdere la sua specificità di movimento (definita da Riccati “varietà”); il suo “temperamento” dovrà possedere la medesima caratteristica. Pertanto, se da un lato questa regola è ampiamente rispettata nella voce e negli strumenti a intonazione mobile, che sfruttano “opportunamente” lo spazio fra due suoni risultando “leggermente” calanti o crescenti — e l’imperfezione è in questo caso sinonimo di ricchezza e di naturalità —, dall’altro l’inerzia della materia esige, per gli strumenti a intonazione fissa, che si intervenga stabilendo un “buon temperamento”.

In base a quali criteri di selezione, però, un “temperamento” risulta migliore di un altro? Il sistema pitagorico di antica tradizione aveva lasciato in eredità ai posteri una piccola frazione di intervallo, il “comma”, originato dalla sequenza circolare di intervalli di quinta aritmeticamente “puri”. Sulle prime il “comma” venne “addossato” — così spiega il Riccati — a un unico intervallo e in seguito, per rispondere alle mode e alle esigenze musicali correnti, variamente distribuito fra gli intervalli.

 

 

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In pieno ’700 i teorici continuavano a battersi sopra le spoglie della vecchia accordatura pitagorica, progettando macchine sonore avveniristiche che risolvessero con l’aggiunta di tasti i “difetti” dell’intonazione: “ma chi si immaginerà mai di lavorare un organo o un gravicembalo di 74, di 55 e di 43 tasti per ottava?” Fra i “giocolieri del comma” — come Giordano definisce gli studiosi che vanamente si estenuavano in “giri di raziocinio” attorno al problema — troviamo annoverati personaggi come Cristiano Ughenio, M. Saveur e il Sig. Henfling.

Per di più l’inconveniente del “notabil difetto” nella costruzione degli strumenti musicali impediva ai compositori, impazienti di sperimentare nuove soluzioni armoniche, di “toccare” alcune tonalità particolarmente dure, dalle quali potevano svilupparsi intervalli di sonorità assai infelice, o addirittura insopportabile, come nel caso della celebre quinta significativamente detta “del lupo”.

Inoltre il gusto degli ascoltatori si era affinato a tal punto che da più parti si invocava un “risorgimento” della musica, analogamente a quello già verificatosi oltralpe. Giordano Riccati propone un sistema temperato nel quale il “comma” viene “opportunamente” distribuito su diversi intervalli permettendo la chiusura del circolo delle quinte senza sfasamenti, e favorendo di conseguenza un maggiore utilizzo pratico delle diverse tonalità. Il “sistema adequatamente generale” da lui proposto consente all’orecchio “differente impressione” facendo scaturire un’infinita varietà di “affezioni dell’anima” puntigliosamente descritte e classificate dall’autore; ma al tempo stesso la dolcezza di un’accordatura siffatta valorizza pienamente le proprietà di armonia e melodia di cui il compositore può fare poi “quell’uso opportuno che la mozione dei varj affetti richiede”.

L’analisi delle passioni umane e della loro traduzione sonora è oggetto dell’ultima parte del trattato; gli esempi musicali in essa contenuti, tratti da composizioni di celebri autori come Benedetto Marcello e lo stesso Agostino Steffani, confermano la tendenza dell’autore a circoscrivere l’ambito del discorso musicale entro i confini dell’indagine psico-acustica; l’“espressione degli affetti deboli e forti mediante l’ineguale accordatura dei comuni stromenti da tasto” viene affidata a una gamma di soluzioni, effetti e ritrovati melodici e armonici che sfruttano meccanismi di relazione “naturale” tra il suono e la percezione umana, tra “quel” particolare suono e “quel” particolare effetto. Pertanto il carattere, il temperamento, della tonalità di Do maggiore risulterà “lieto e soave”; mentre le tonalità via via più diesizzate saranno adatte a produrre un effetto progressivamente “spiritoso”, “allegro”, “un poco sfacciato”, “ardito” e, in sintonia con i più violenti moti dell’animo, “acrimonia, iracondia, temerità, furore, disperazione”; più adatte agli “affetti fiacchi” invece le tonalità con bemolli, di volta in volta patetiche, tristi e lacrimevoli. In alcune tonalità minori persisterà l’effetto di “spavento” e “orrore” riscontrabile pure in talune maggiori con diesis; in altre prevarrà il “dolce e melanconico”, la “mestizia crescente” fino al “compassionevole” con “languori, sfinimenti, abbattimenti dell’anima”.

L’apertura a nuove sperimentazioni tonali, la possibilità di rivestire le diverse tonalità di un carattere preciso, l’obiettivo di una soddisfacente resa sonora dell’insieme, la salvaguardia delle leggi di natura, l’operatività in funzione del “gusto”, la cui mutevolezza sempre più detta legge, delineano l’orizzonte entro cui la ricerca di Giordano Riccati si colloca, e al tempo stesso prefigurano i successivi passi della storia della musica.

Con il “sistema adequatamente generale” del Riccati siamo al limite “assolutamente massimo” nella pratica dell’accordatura inequabile, oltrepassato il quale — appena un secolo più tardi — le argomentazioni di Giordano, con le loro innumerevoli sfumature così ingegnosamente e meticolosamente catalogate, sembreranno l’esito di una “metafisica troppo sottile”, simboli del primato della speculazione teorica sull’ispirazione musicale.

È certo però che la differenza di “colore” fra i suoni, che Riccati e i suoi contemporanei sentivano come necessaria, non doveva rappresentare un fattore puramente accessorio, se è vero che Giuseppe Tartini non riconobbe il brano musicale che ascoltò trasportato in un’altra tonalità.

L’opera del Riccati dimostra che l’aspetto logico-matematico e percettivo coesistono e interagiscono nella musica in forma evidente: essa rappresenta, grazie alla possibilità di trattare scientificamente il materiale sonoro mediante strumenti concettuali e tecnici di raffinata precisione, l ’inizio di un approccio “moderno” al discorso musicale.

 

 


 

 

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NOTA BIBLIOGRAFICA

 

 

1695A. STEFFANI, Quanta certezza habbia da’ suoi principii la musica et in qual pregio fosse perciò presso gli antichi, Amsterdam, 1695, risposta di D.A. Steffani Abbate di Lepsig. Protonotario ecc. ad una lettera del Sr. March. A.G. in difesa d’una proposizione sostenuta da lui in una assemblea. Hannovera Sett. 1694 in Mss. Opuscoli vari (G. Riccati), presso la Biblioteca Civica di Udine, ms. 1030.

 

1754G. RICCATI, Le leggi del contrappunto dedotte dai fenomeni e confermate dal raziocinio, redazione definitiva conservata manoscritta nella Biblioteca Civica di Udine, ms. 1026, I-II.

 

1761J. RICCATI, “Saggio intorno al sistema dell’universo” in Opere del Conte Jacopo Riccati nobile trevigiano, 1-4, appresso Jacopo Giusti, Lucca 1761-65, T.

I, L. 1-3.

 

1762G. RICCATI, Saggio sopra le leggi del contrappunto, per G. Trento, Calstelfranco.

 

 

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