di Guido Salvetti

 

(articolo pubblicato nel n. 2 della rivista musicologica Diastema, aprile 1992, rubrica “Pianoforte”)

 

 

LE RADICI ROMANTICHE

 

La Prima Sonata op. 6, composta nel 1891-92 — e quindi negli ultimi mesi di studio presso il Conservatorio di Mosca — non è un’opera giovanile; è una scelta di campo, a cui Skrjabin rimarrà fedele: per la continuazione, l’approfondimento, la dilatazione dell’esperienza musicale romantica, da Beethoven a Liszt. Sceglie di porsi sulle spalle di quei giganti per alzarsi oltre e, d’altro lato, nella personale affermazione di sé oltre quel punto di partenza, non stabilisce rapporti con tutto ciò che intorno sta avvenendo, con Debussy, o Ravel, o Schönberg. Di questo radicamento nel passato e di questo splendido isolamento dal presente, proprio la serie delle 10 Sonate — che giunge, con l’ultima, al 1913 — è documento inquietante: ove ancora una volta, come per Mahler, l’inattualità si rovescia poi, in vertigini avveniristiche.

Le sue sonate pianistiche, quindi, per quanto eversive siano nella sostanza, fanno costantemente i conti con il problema della forma classica, anzi addirittura con lo schema didascalico della forma-sonata: e la creatività personale si misura anche per Skrjabin in rapporto a quanto, di quella forma, viene elaborato, ampliato, distorto, occultato.

 

Da questo punto di vista le dieci Sonate pubblicate presentano schemi familiari, che indico qui sotto, assieme ad osservazioni sulle più evidenti manipolazioni delle forme convenzionali:

 

  1. 1 a) forma-sonata, b) Liedform, c) ABA’ d) marcia funebre. Notevole che il secondo tema del primo tempo riappaia, invariato, come secondo episodio del terzo tempo.
  2. 2 a) forma sonata, b) “improvviso”

Il primo tempo termina ad una tonalità (Mi maggiore) diversa da quella dell’inizio (Sol diesis minore).

  1. 3 a) forma-sonata, b) ABA’ c) ABAB, d) forma-sonata

Il terzo tempo inizia in Sol diesis minore e termina alla dominante di Fa diesis minore, legandosi — in tal modo — al tempo che segue (che è, appunto, in Fa diesis minore). La melodia con cui si apre il terzo tempo ricompare, amplificata, al termine del quarto.

  1. 4 a) introduzione lenta, quasi tema con variazioni, b) “toccata” o “improvviso”

Il tema dell’introduzione appare in fff nel momento “focosamente giubiloso” che conclude il secondo movimento.

  1. 5 a) introduzione rapsodica, b) forma-sonata

Tra a) e b) una pausa generale. La forma-sonata è regolarmente costituita di esposizione-sviluppo-ripresa.

  1. 6 forma-sonata

Esposizione-sviluppo-ripresa-coda.

  1. 7 rondò-sonata

Per tre volte ritornano il tema della fanfara squillante e il tema contrapposto indicato “avec une céleste volupté”: per tre volte hanno sbocchi diversissimi.

  1. 8 a) Lento introduttivo, b) forma-sonata

Tra a) e b) una corona d’attesa. Al termine della forma-sonata è enormemente sviluppata la coda.

  1. 9 Rondò (ABA, BCB, ABCA)

Le differenti zone di A, B, C, sono delimitate da cambiamenti di tempo; ad ogni ritorno A, B e C appaiono trasformate nella scrittura, nel carattere, nella durata.

  1. 10 a) introduzione, b) forma-sonata

Il motivo iniziale dell’introduzione appare nel corso dello sviluppo della forma-sonata.

 

Per quanto tali sonate possano sembrare magmatiche, sono quindi organizzate secondo schemi riconoscibili, in cui può persino meravigliare quanto abbia valore la ripresa, l’esibito ritorno dell’inizio, la ripetizione di intere sezioni. È, questo, un segno di netto distacco dalla teoria e dalla pratica wagneriana: Wagner era giunto a rimproverare persino a Beethoven l’innaturalezza e la meccanica delle sue riprese e aveva sempre perseguito forme “aperte”. Skrjabin — e può essere questo il vero motivo per il quale si ostinava ad utilizzare il nome Sonata per composizioni apparentemente così difformi da ogni modello sonatistico — fa delle riprese il punto di forza per un andamento sostanzialmente ossessivo, faticoso, del suo discorso musicale. La metafora geometrica che mi sembra più calzante è infatti, per simile andamento, quella della spirale: un continuo ritorno (si noti in particolare lo schema della Sonata n. 9) che coincide con uno spostamento, una dislocazione — per lo più — verso l’alto. Ed infatti, per essere più precisi, i ritorni continui delle diverse sezioni coincidono con trasposizioni delle stesse, un semitono, un tono, al massimo una terza sopra o sotto. All’interno di questi schemi, che talvolta è difficile vedere, dietro l’apparenza rapsodica e improvvisatoria, si colloca una materia musicale formicolante di figure pianistiche multiple e inafferrabili: ecco un altro punto decisivo per la comprensione di questi lavori, dove nella miriade di figure (che diventano un’autentica galassia nella Sesta nell’Ottava e nelle due ultime Sonate) vige ancora il principio di una gerarchia tematica. Schönberg, negli stessi anni in cui Skrjabin scriveva le sue ultime cinque Sonate si prendeva cura di indicare con una “H” (Hauptstimme) la parte principale. Nulla di tutto questo in Skrjabin: solo il grande interprete (non è pensabile un’esecuzione “scolastica” o appena mediocre di simili pezzi) dovrà reperire il filo d’Arianna di questa gerarchia. Già nel primo movimento della seconda Sonata si pongono, ad esempio, precisi problemi di debordante efflorescenza di figure pianistiche intorno alla linea principale; ma è soprattutto dalla quinta Sonata che tale gerarchia si presenta come distinzione tra idee musicali che segnano un evento preciso (una tappa) nella vicenda che si svolge di fronte alla nostra immaginazione, e momenti di preparazione, o di dissoluzione.

In senso contrario alla chiarezza formale e all’individuazione dei nuclei tematici principali agisce soprattutto una tecnica che chiamerei di “stratificazione”. Già i classici avevano cercato la compresenza di elementi nuovi e di altri ascoltati in precedenza.

Ma in Skrjabin — nella Settima particolarissimamente — vige il principio di stratificare sulle figure precedentemente ascoltate le nuove figure; i secondi temi, per così dire, non sostituiscono i primi, ma si sovrappongono — si inframmezzano — ad essi. Deriva da questa sorta di efflorescenza la rete dei ritorni tematici tra tempo e tempo (nella Prima, Terza e Quarta), nonché addirittura tra Sonata e Sonata: tra Nona e Decima si può parlare di autocitazione; ma un intrico di rimandi (di trilli di fanfare, di arpeggi di languidi cromatismi, ecc.) rende verosimile l’ipotesi di un opus unico (come tale mostruosamente intricato, direi) che abbraccia le Sonate dalla Quarta alla Decima; le singole Sonate potrebbero essere intese, quindi, come diverse fasi di un’esperienza creatrice che — proprio come la vicenda esistenziale — non pretende di avere un suggello che non sia quello della morte: il più casuale, e il meno razionalmente strutturabile, degli eventi. Da qui l’assoluta giustezza di una programmazione in concerto di queste Sonate che preveda in tempi brevi l’esecuzione integrale.

 

 

I VALORI SEMANTICI

 

Ma sarebbe veramente arbitrario attribuire a Skrjabin l’intenzione di una simile ciclopica progettazione. Ciò che rende possibile il rapporto di figure musicali tra Sonata e Sonata è l’appartenenza di tutte ad un omogeneo ambito semantico, che è poi quello — sostanzialmente — della civiltà musicale ottocentesca. Voglio dire che non è affatto misterioso il rapporto tra alcune figure musicali e il corrispondente significato (stato d’animo, gesto, evento).

È possibile cioè stabilire rapporti notevolmente stabili, desunti da convenzioni ormai secolari:

  • materiali cromatici con esile trama pianistica “significano” intuitivamente una sorta di elegiaca stanchezza;
  • accordi massicci in ritmo puntato “rappresentano” l’incombere minaccioso di eventi avversi;
  • squillanti fanfare a note accentate “sono” un richiamo eroico (alla lotta, all’ideale, ecc.);
  • baluginii di note rapidissime nell’acuto “segnano” l’alzarsi a volo (dell’anima, ecc.);
  • luce e smaterializzazione, proprio come nell’estremo Beethoven pianistico, “vengono indicate” da un fremere multiplo di trilli;

— l’ebbrezza dell’auto-affermazione “è data” da una sonorità totale: la percussività serve a dilatare le risonanze; i pedali formano accumuli clamorosi; infiniti richiami riecheggiano da ogni punto dell’orizzonte.

La perfetta identificazione di questi rapporti di significato è quindi possibile, per chi conosce Beethoven, o Schumann, o Wagner, ecc. ecc., senza bisogno di leggere le didascalie che affollano lo spartito (e che riportiamo nella rassegna delle Sonate, qui sotto), e anche senza riferirsi alle peraltro scarse dichiarazioni programmatiche dell’autore.

Skrjabin si dimostra in ciò, ancora una volta, un adepto entusiasta del messaggio beethoveniano-idealista, fatto di inappagamento/appagamento di spirituali aspirazioni, di avversità ciclopiche, di tensioni eroiche, di stanchezze, di sconfitte parziali o definitive, di vittorie gridate all’Umanità, oppure godute in appartata intimità. E ciò comporta un utilizzo convinto di alcuni tradizionali “luoghi” della discorsività musicale ottocentesca. Tento anche qui una piccola elencazione:

  • gli esordi sono per lo più emersioni da un’indistinzione originaria (Rheingold, per intenderci): da qui la presenza pressoché costante dell’introduzione lenta, o, comunque, di una iniziale frammentarietà disorganica;
  • lo sviluppo (della forma-sonata) è lo spezzarsi delle certezze, il vagare tra frammenti di esperienze passate e preannunci di una imminente genesi;
  • le conclusioni sono mirabolanti, catastrofiche, sia che si raggiunga un radioso mondo di luce in cui cullarsi appagati (Settima, Decima), sia che il grande sforzo eroico s’infranga inappagato (Sesta); sia che proprio nell’ultima fase la tensione della volontà abbatta definitivamente gli ultimi ostacoli all’infinita affermazione di sé.

In quel vasto teatro dell’immaginazione, che è la grande musica strumentale dell’Ottocento, Skrjabin trova qui di materiali sufficienti per esprimere le proprie fumisterie misteriosofiche, quelle stesse espresse a parole nel “Poema dell’estasi”, o nell’“Atto preliminare” al Mysterium, nel Taccuino di appunti:

  • “lo spazio e il tempo sono un processo creatore… nel quale ogni dato di rappresentazione è una parte di un Tutto illimitato”;
  • “ciascun granello partecipa al processo creatore…”;
  • “Io sono l’Io e il Non-Io… Io sono il centro dell’Universo”;
  • “si può concepire il mondo come un sistema di corrispondenze”.

Era stato l’insegnamento di Vladimir Solovev, comune a tutta la cultura russa di quegli anni. Ed è la vicinanza con i circoli teosofici di Bruxelles. Ebbene solo in un punto l’incontro tra queste ideologie e le Sonate pianistiche è veramente documentabile: ed è a proposito del Motto tratto dal Poema dell’estasi per la Quinta Sonata (e siamo quindi intorno al 1905). Ma, a ben guardare, un segno evidente collega le ultime Sonate (dopo il 1911) alle ideologie espresse nel Prometeo (1909-10). Si confrontino le didascalie delle ultime Sonate — che riportiamo più sotto — con quelle del Prometeo:

brumeux, avec mystére, contemplatif, joyeux, étincelant (!),

volupteux, presque avec douleur, avec délice, avec une intense désir,

impérieux, sourd, menaçant, avec un effroi contenu, avec défi,

belliqueux, orageux, déchirant, comme un cri, flot lumineux, dans un vertige, …

La letterarietà (la filosoficità) di questi atteggiamenti non deve però mettere in ombra che Skrjabin (in ciò erede diretto di Schumann e Wagner… e Baudelaire) considera l’esperienza musicale come un’esperienza suprema; o — per dirla con un linguaggio skrjabiniano — la più potente artefice di una “nascita seconda”, di una “rigenerazione” spirituale dell’Umanità. Da qui l’immagine che Skrjabin dona di sé, soprattutto al pianoforte: quella di un Demiurgo dei suoni, che non concede tregua all’ispirazione cocente, alla tensione spasmodica della fantasia.

Se, quindi, il messaggio di rigenerazione spirituale (o le varie metafore delle condizioni esistenziali, tra spirito e materia in lotta tra loro) può ben rientrare negli stilemi di un romanticismo musicale, per quanto portato alle ultime conseguenze, è proprio il segno di questa ispirazione cocente e di questa spasmodica tensione a suscitare dal pianoforte un mondo di immagini musicali che — nonostante tutto quello che sopra abbiamo detto — non ha uguali: per le deformazioni continue (melodiche armoniche, ritmiche) di ogni figura musicale desunta dalla tradizione; per i nessi associativi strabilianti e folli tra idea e idea; per una sensibilità spasmodica rivolta alla materia sonora del pianoforte (pensata in termini di luce); per un molto espressionistico librarsi nelle zone estreme del ppp e del fff, del troppo pieno e del troppo vuoto, del troppo inerte e del troppo violento, del troppo doloroso e del troppo gioioso.

 

 

 

 

MODERNISMO?

 

Solo in questo senso il cammino compiuto dall’autore della Prima alla Decima Sonata può essere inteso come un progressivo adeguamento dei mezzi ad intenzioni che, sostanzialmente, rimangono le stesse. Skrjabin non inventa modi arditi di scrittura; o meglio, non assume atteggiamenti eversivi; c’è in lui, progressivamente sviluppata, la possibilità di trovare parole sempre più giuste per quello che intende dirci.

C’è comunque innegabilmente, un aspetto esteriore di questa ricerca:

  • a partire dalla Quinta Sonata scompaiono le alterazioni in chiave, e, con esse, la dichiarazione di tonalità; dalla Quinta Sonata scompaiono le indicazioni di metronomo, quasi invito all’esecutore perché ritrovi in sé le ragioni intime delle durate psicologiche e fisiche

dell’opera da eseguire;

  • dall’Ottava Sonata appare la polimetricità; la poliritmicità nella Decima.

Ci sono, poi, aspetti apparentemente meno sostanziali, eppure indicativi del clima di progressiva libertà nel perseguimento dei fini, a cui accennavamo:

  • i righi sono tre in alcuni passi della Quarta Sonata; quattro nella Settima;
  • le didascalie, in italiano fino alla Quinta, diventano in francese della Sesta; da questa stessa Sonata si infittiscono a dismisura;
  • l’ornamentazione, quasi assente fino alla Quinta, cresce vertiginosamente fino alla Decima, fittissima di trilli (“insetti che vengono fatti vivere dal calore del sole”).

 

 

UN ITINERARIO INIZIATICO

 

L’ascolto delle dieci Sonate di Skrjabin è quindi un itinerario, se non di iniziazione (come avrebbe pensato l’autore) certamente di progressiva liberazione in termini sonori di un affascinante intenzione estetica. Ciò non toglie che in ciascuna di queste tappe ognuno di noi possa trovare il momento in cui crede di individuare il maggiore equilibrio tra velleità e realizzazione, tra intenzioni estetiche e scrittura musicale. A me, personalmente, sembra che questa vetta sia rappresentata dalla Settima Sonata. Altri (Eberle) indicherebbero la Quinta. I contemporanei stupivano di fronte alla Nona e alla Decima. Ma sbagliamo tutti quanti: Skrjabin va capito anche dove lo squilibrio è maggiore, o dove la velleità è più scoperta, o dove il peso della tradizione più sentito. Ecco perché non è forse inutile che, alla fine di tante parole, io proponga diligentemente, una serie di brevi schede per invitare a un rispettoso ascolto delle Sonate. Tutte, dalla Prima alla Decima.

 

Sonata n. 1 in fa minore op. 6 (1891-92)

  1. Allegro con fuoco
  2. La semiminima = 40
  • Presto
  1. Funebre

 

L’esordio sonatistico avviene nel segno di un ordine dichiarato: i quattro tempi classici. Eccentrico, certamente, un finale “funebre”, che, prima del deciso gesto conclusi vo, precipita nelle oscurità del ppp (pianissimo).

La forma-sonata viene presa molto sul serio nell’iniziale “Allegro con fuoco”, nel senso più ovvio di un violentissimo contrasto tra un primo tema ad ondate ascendenti, eroiche, e un secondo tema languido e rassegnato. Fanfare segnano i confini tra le zone canoniche dell’esposizione e dello sviluppo, e naturalmente, la conclusione del pezzo. La scrittura si direbbe, sulla carta, di una pienezza tutta chopiniana o lisztiana, eppure zone rarefatte nell’acuto (nello sviluppo), una febbrile agitazione (il “troppo pieno”), l’imprevedibile ripiegamento del finale sono altrettanti segni di irrequietezza formale.

Memorabile, nel “funebre”, l’inserirsi di accordi compatti, per loro natura pesanti (6 suoni), eppure dislocati in chissà quale lontananza, fuori scena, da un ppp e da un “Quasi niente”. È il “troppo vuoto” che più sopra indicavamo. Il terzo tempo scatena la violenza di un Sabba visionario: e l’allucinazione nasce dall’attrito metrico: le ottave ostinate nel basso sono sfasate rispetto ai pilastri accordali della battuta. Nel tumulto così sconnesso può allora insinuarsi il canto languido e rassegnato del primo movimento. È un autentico scardinamento di quella che sembrava una cavalcata verso l’abisso: ci si infrange, invece in una immobilità che trascolora nel “funebre” conclusivo.

 

Sonata-Fantasia n. 2 in sol diesis min. op. 19 (1892-97)

  1. Andante
  2. Presto

 

La “Fantasia” del titolo si può forse riferire ad alcune dichiarate eversioni: ad esempio l’Andante termina a una tonalità diversa (Mi maggiore) dal suo inizio. E la forma del Presto è costituita da un ruotare continuo delle due idee principali (la prima “toccatistica”, la seconda effusivamente cantabile), senza uno schema davvero riconoscibile.

Ma forse c’è anche, nel titolo, un riferimento programmatico: nell’Andante il primo tema è tempestoso, di forte risonanza, percorso da fanfare sommerse nella sonorità circostante; il secondo tema è quasi innodico, nel registro centrale, anch’esso avvolto in grandi sonorità. Che sia questo l’accenno programmatico che si ritrova nelle lettere al primo amore, a Natalia Sekerina (“coste marine, acqua al chiaro di luna, mare tempestoso”)?

 

 

Sonata n. 3 in fa diesis minore op. 23 (1897-98)

  1. Drammatico
  2. Allegretto
  • Andante /attacca/
  1. Presto con fuoco (… meno mosso… Maestoso)

 

Rispetto allo schema in quattro tempi usato dalla Prima Sonata, qui s’impone l’importanza drammatica del Finale: è come se la lotta, con conseguente vittoria conclusiva, avvenga in due fasi, nel primo e nell’ultimo tempo, a due gradi successivi di energia. L’episodio centrale del secondo tempo ha forti connotati chopiniani (tipo “Barcarola”), ma la mobilità delle figure pianistiche sui vari registri è qui particolarmente sviluppata.

Il tema dell’Andante non ritorna alla fine dello stesso, ma riappare luminosissimo al termine del quarto tempo “Presto con fuoco”.

Nella Sonata appaiono (nelle seconde idee, per esempio, del primo e del terzo tempo) cromatismi vaganti, difficilmente riconducibili all’armonia tradizionale.

 

 

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Sonata n. 4 in fa diesis maggiore op. 30 (1903)

  1. Andante

Il. Prestissimo volando

 

L’Andante introduttivo propone una frase musicale singolarmente vagante, indefinita nel percorso e nelle logiche di aggregazione delle sue parti. Il nostro orecchio potrebbe ritrovare la libertà d’immaginazione delle “Toccate per l’Elevazione” di Frescobaldi”.

Le successive variazioni della frase iniziale la innalzano progressivamente in una zona di tripudio luministico. Il Presto propone uno stile “toccatistico”, in cui totale è lo scardinamento ritmico. Su questa instabilità febbrile s’innalza sempre più enfatica la cantabilità melodica che culmina nel tema iniziale dell’Andante, trasformato in gioiosa fanfara.

 

 

Sonata n. 5 in re diesis minore op. 53 (1907)

Allegro impetuoso con stravaganza

(…Presto… Languido… Accarezzevole… Presto con allegrezza… Meno vivo… Allegro fantastico… Languido… Leggierissimo volando…Presto giocoso… Meno vivo… Allegro fantastico… Meno vivo… Allegro… Meno vivo… Allegro… Prestissimo… Meno vivo… Allegro… Presto).

 

Motto dal Poema dell’Estasi:

Vi chiamo alla vita, forze misteriose

immerse nelle profondità oscure

dello spirito creatore, timorosi

abbozzi di vita, a voi porto l’audacia.

 

La sequenza delle didascalie rende molto bene l’estrema mutevolezza dei climi espressivi. Nell’introduzione, ad esempio, si accostano frammenti di una violenza estrema, ad altri indicati con “dolcissimo”, ad altri ancora su cui Skrjabin ha scritto: “molto languido”. Di particolare interesse il percorso complessivo: l’esposizione termina con l’“Allegro fantastico”, a ritmi serrati e provvisoriamente vittoriosi; lo sviluppo accumula progressivamente terribili tensioni per tutta la sua lunghezza; dopo la ripresa ritorna il secondo tema, che viene trasformato in modo da indicare, ancora una volta (“estatico”), I’elevarsi dello spirito ad una zona di piena luce, vittoriosa.

 

 

Sonata n. 6 op. 62 (1911-12)

Modéré

(Mystérieux, concentré… Avec une chaleur contenue… Souffle mystérieux… onde caressante…concentré…ailé…Un peu plus lent… Le rêve prend forme (clarté, douceur, pureté)… Avec entraînement… Ailé tourbillonant… L’épouvant surgit… Avec trouble…appel mystérieux… De plus en plus entraînant, avec enchantement… Joyeux, triomphant… Joyeux… Sombre… Epanouissement de forces mystérieuses… Avec une joie exaltée… Effondrement subit…ailé…Un peu plus lent…Toutdevientcharme etdouceur… Avec entraînement… Ailé, tourbillonnant… L’épouvante surgit, elle se mêle à la danse délirante…).

 

La frammentazione è massima. Le prime didascalie, ad esempio, riguardano pochissime battute dello stesso tema. Ma è un processo aggregante da cui emerge il vero grande tema unitario, che è il secondo, indicato con “le rêve prend forme”. La scrittura pianistica che indica il volo dell’anima verso questo sogno è di una mobilità totale, parossistica; l’effetto timbrico è inaudito.

La parte centrale è cupa ed ossessiva, fino all’affermarsi di una minacciosa fanfara. Anche la Coda, dopo la ripresa, indica una battaglia dall’esito enigmatico, certo non vittorioso.

 

 

Sonata n. 7 op. 64,” Messa bianca” (1911)

(…mystérieusement sonore… avec une sombre majesté… avec une céleste volupté… très pur, avec une profond douceur… mystérieusement sonore… poco meno vivo… animé ailé… très animé, ailé… étincelant…très pur, ave douceur… menaçant… avec trouble…tres doux, joyeux, étincelant… vol joyeux… de plus en plus sonore et animé… come des éclairs… Foudroyant… avec une sombre majesté… orageux… avec une céleste volupté… très pur, avec une profonde douceur… mystérieusement sonore… ondoyant… animé ailé… avec éclat… mystérieusement sonore… avec une volupté radieuse, extatique… en un vertige…

fulgurant… avec une joie dé bordante…).

 

La fanfara emerge imperiosa fin dall’inizio. È un richiamo che, nella sua fissità, opererà per tutta la Sonata come termine di paragone nei confronti di tutto quello ch’esso suscita: voluttà, volo dell’immaginazione, frustrazioni, sforzi reiterati, ecc. ecc… È notevole il trattamento del pianoforte — in momenti di luce abbagliante — con una percussività che si traduce in vibrazioni multiple e stratificate. Poco prima della fine questo accumulo sonoro si arresta su un accordo di 25 note (!). Poi la dispersione più appagata.

 

 

Sonata n. 8 op. 66 (1913)

Lento, Allegro agitato. Molto più vivo. Allegro. Tragique. Meno vivo. Tragique, molto più vivo. Presto. Allegro. Meno vivo. Molto più vivo, agitato, Presto, Allegro (tempo I). Più vivo. Allegro. Tragique. Più vivo. Presto. Prestissimo (… doux languissant…).

 

Come si può vedere dalle didascalie, la frammentazione agogica è totale. Le ornamentazioni, i trilli, gli arpeggi veloci assurgono qui a valore autonomo d’immagine musicale. Le fasi sono sempre quelle dell’affermazione, della frustrazione e della vittoria sulle avversità, ma i mezzi musicali suggeriscono in continuazione sconcertanti ritorni e abbandoni; una frenesia che non trova mai un vero sbocco costruttivo.

 

 

Sonata n. 9 op. 68 (Podgajevskj: “Messa nera”) (1912)

Moderato quasi Andante

(légendaire…mystérieusement murmuré…avec une laugueur naissante…)

Molto meno vivo

(pur, limpide…sombre, mystérieux… perfide… avec une douceur de plus en plus caressante et empoisonnée)

Allegro Più vivo

Allegro molto. Alla marcia. Allegro Più vivo. Presto. Tempo I.

 

L’idea cromatica discendente dell’inizio viene ripresa un gran numero di volte, e passa progressivamente dal mormorio “misterioso” ad un’inquietante mobilità. Nello stesso tempo la seconda idea (indicata con “langueur”) s’innalza progressivamente a toni di tema squillante ed eroico. Ma il percorso complessivo, come nella Sesta Sonata, sembra indicare, con la stanca ripetizione conclusiva dell’inizio del primo tema, una rinuncia a tutto quanto, così faticosamente, è stato costruito.

 

 

Sonata n. 10 op. 70 (1912-13)

Moderato

(très doux, pur… avec une ardeur profonde et voilée… lumineux vibrant…)

Allegro

(avec émotion… inquiet… haletant… avec élan… avec une joyeuse exaltation… avec ravissement et tendresse… avec une volupté douloureuse… avec une joie subite… de plus en plus radiuex… trè doux… en s’éteignant peu è peu… avec une douce ivresse…) Puissant radieux

Allegro

(… avec un élan lumineux vibrant… avec ravissement…)

Più vivo (frémissant, ailé…) Presto Moderato

(avec une douce langeur de plus en plus éteinte)

 

Il riferimento agli “insetti”, che il sole porta alla vita, può essere inteso prima di tutto in relazione alla frammentazione minutissima delle figure (un tripudio di trilli, rapidissimi guizzi in arpeggio), e anche in riferimento all’apparire, per tre volte, di un frammento di canto che si espande in forma di arpeggio ascendente, sempre più luminoso. Per più motivi questa Sonata potrebbe considerarsi un’espansione o una parafrasi di quella precedente. Ma il “dolce languore” della conclusione sembra portare a compimento quello che lì era rimasto come in sospeso.

 

 

 


 

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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

FAUBION BOWERS, The New Skrjabin. Enigma and Answers, New York 1973, capitolo IX, pp. 172-182.

WLADIMIR DELSON, Die Klaviersonaten A. Skrjabins, Mosca.

GOTTFRIED EBERLE, Zwischen Tonalitat und Atonalitat. Studien zur Harmonik Alexander Skrjabins München 1978.

PAVCINSKIJ, Skrjabins Werke der späteren Periode, Mosca 1969, pp. 33-86 (in particolare sulla IX Sonata).

HANNS STEGER, Der Weg der Klaviersonate bei Alexander Skrjabin, München 1979.

Ampio e documentato il testo di Knut Franke nell’Album delle Sonate incise da Igor Zhukov per l’ARIOLA-EURO-DISC; l’album contiene anche la Fantasia op. 28 e alcuni brevi brani pianistici eseguiti dallo stesso Skrjabin.

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